Pur essendo obbligatoria da cinque anni secondo la normativa nazionale, nella metà delle Regioni la certificazione energetica degli edifici non ha neppure una legge regionale di attuazione. Mentre l’Europa cerca di armonizzare gli attestati a livello comunitario, in Italia classi energetiche e criteri per diventare certificatori cambiano da Regione a Regione. Quel che è peggio, i primi dati sui controlli effettuati indicano che una grande percentuale degli attestati non è conforme alle procedure tecniche stabilite dalla legge.
Oltre ad essere potenzialmente decisiva per la riduzione della dipendenza energetica e dell’insostenibilità ambientale del nostro paese, la certificazione energetica degli edifici è un caso esemplare della difficoltà di introdurre la qualità certificata in Italia. Un caso da cui trarre utili indicazioni su cosa non si deve fare se si vuole creare un sistema credibile di certificazione dei prodotti edilizi e degli edifici.
IL RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA EPBD IN ITALIA
Nel 2002 la direttiva europea 2002/91/EC, nota anche come Energy Performance of Buildings Directive (EPBD), ha introdotto l’obbligo di certificazione energetica degli edifici in tutti gli Stati Membri. La direttiva EPBD prevede che ogni Stato implementi un proprio sistema di certificazione obbligatoria, basato su una metodologia chiara e ben specificata.
L’Italia è stata tra i primi paesi a recepire con una legge nazionale la direttiva EPBD[1]. L’ha fatto con una normativa nazionale che, seppur con modifiche e correzioni apportate negli anni successivi, recepisce gli indirizzi del Comitato Europeo di Standardizzazione oltre che quelli dell’UE. Ha stabilito una tabella di marcia che, sulla carta, avrebbe reso l’Italia uno dei primi paesi in Europa a sancire l’obbligatorietà della certificazione energetica degli edifici.
In effetti, stando alla normativa nazionale, in Italia l’ACE (Attestato di Certificazione Energetica degli Edifici) è obbligatorio da gennaio 2007 per tutta la nuova edilizia, da luglio 2007 per gli edifici in vendita di superficie superiore a 1000 m2, da luglio 2008 per tutti gli edifici in vendita tranne i monolocali, da luglio 2009 per tutti gli edifici in vendita. Inoltre, da gennaio 2012 è obbligatorio esporre l’indice di prestazione energetica in tutti gli annunci di compravendita o locazione di edifici, ed è inserita nei contratti una clausola con cui l’acquirente o il conduttore dà atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione relative alla certificazione energetica. Insomma, sulla carta l’Italia ha recepito prontamente la direttiva europea, e in modo abbastanza virtuoso. In realtà la situazione è ben diversa.
LA FRAMMENTAZIONE TERRITORIALE
Un primo punto critico è che, a fronte delle scadenze appena elencate, solo il 16 giugno 2009 sono state pubblicate le Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica. Si è cosi verificato un regime transitorio (dal 2005 al 2009) durato quattro anni, durante il quale la certificazione era prevista dalla legge e diventava progressivamente obbligatoria, le Regioni potevano già legittimamente istituire i propri sistemi di certificazione, ma non esistevano ancora delle Linee Guida Nazionali. Una fase transitoria che certamente non ha aiutato la creazione di un sistema nazionale sufficientemente omogeneo.
Nonostante la pubblicazione delle Linee Guida nazionali, la frammentazione regionale continua a caratterizzare il sistema italiano di certificazione energetica degli edifici. Alcune Regioni e Province autonome (Bolzano, Lombardia, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna) si sono mosse in anticipo, istituendo il proprio sistema di certificazione prima del 2009, cioè durante il regime transitorio, col risultato che ora in queste regioni c’è la necessità di modificare il sistema approntato, per adeguarsi alle suddette linee guida. All’estremo opposto, come segnalato dal “Rapporto 2012 sull’attuazione della certificazione energetica” realizzato dal CTI[2], a marzo 2012 otto regioni non hanno ancora istituito la certificazione energetica obbligatoria sul proprio territorio, e altre due l’hanno istituita formalmente recependo la normativa nazionale, ma non hanno ancora emanato una legge regionale al riguardo (le dieci regioni che non hanno ancora una legge quadro sono Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Marche, Molise, Sardegna, Umbria e Veneto).
Dal punto di vista della frammentazione territoriale, l’aspetto più problematico è rappresentato dalle differenze sostanziali tra i sistemi adottati dalle diverse Regioni italiane. Così, mentre l’Unione Europea avvia un percorso finalizzato ad avere una certificazione energetica omogenea a livello continentale, in Italia la classe energetica A ha un significato diverso da Regione a Regione, e un tecnico può avere i requisiti per diventare certificatore in una Regione, ma non averli in un'altra.
A complicare ulteriormente la situazione, c’è il fatto che le Linee Guida nazionali emesse nel 2009 hanno introdotto la possibilità per i proprietari di autocertificare i propri edifici assegnandoli la classe G. Tale disposizione è in contrasto con la direttiva europea, e in particolare con la norma EPBD, per questo l’UE ha già avviato una procedura d’infrazione, e appare chiaro che la norma andrà modificata. Cinque regioni non hanno recepito la possibilità di autocertificazione, mentre in tutte le altre (o almeno in quelle nelle quali il sistema di certificazione è stato già approntato) l’autocertificazione è formalmente possibile. La mancanza di chiarezza e armonia risulta evidente dalle circostanze appena descritte.
LA DIFFUSIONE DI ACE NON CONFORMI
Un punto critico ancora più importante emerge con riguardo ai controlli sulle certificazioni energetiche emesse. A marzo 2012, soltanto cinque Regioni (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Veneto) e la Provincia autonoma di Trento hanno avviato, in via sperimentale, un’attività di controllo sui certificati. Per ora solo in Lombardia e Piemonte sono previste sanzioni per chi non adempie all’obbligo di certificazione o per chi emette attestati non veritieri. I primi risultati dei controlli effettuati hanno fatto emergere elevate percentuali di certificati energetici le cui risultanze non sono conformi. Certificazioni “truccate”, in altre parole, in cui all’edificio è attribuita una classe energetica migliore di quella effettiva, e/o realizzate senza seguire le procedure tecniche previste dalla legge. In Piemonte sono stati diffusi i primi dati: su 8.993 controlli effettuati, 2.214 (il 25,4%) hanno fatto emergere certificati non conformi. In altre parole, un certificato su quattro è risultato essere “taroccato”. Solo in due casi è stato il soggetto in procinto di vendere l’edificio ad alterare il certificato, mentre in tutti i restanti casi il responsabile della non-conformità è risultato essere il certificatore.
In Veneto il dato è analogo: anche in questo caso il 25% dei certificati è risultato non conforme (anche se in questo caso il dato è basato solo su 200 controlli, dei quali 50 hanno riscontrato irregolarità). In Calabria non è stato approntato un sistema di controlli, ma un monitoraggio statistico effettuato dalla Regione su tutti i certificati emessi ha fatto emergere una quota di attestati non conformi del 68,6%: su 334 ACE controllati, 229 hanno presentato irregolarità.

Del resto, basta effettuare una veloce ricerca su internet per trovare società che offrono il rilascio della certificazione energetica al prezzo di 70, 60 o perfino 40 Euro, quando il prezzo di mercato di una certificazione effettuata in modo serio e conforme è intorno ai 400-500 Euro. Come si legge nel già citato rapporto del CTI, “rappresentando una nuova potenziale fonte di reddito per molti soggetti, l’aspetto della concorrenza si concretizza in una gara al ribasso che pone fuori mercato i professionisti più seri”. In assenza di controlli, si afferma un “mercato dei bidoni”: certificati di bassa qualità emessi a prezzo più o meno basso. In assenza della fiducia che un sistema credibile di controlli instaurerebbe nel mercato, molti clienti rinunciano all’aspetto qualitativo del certificato, alla possibilità di avere un servizio di qualità che permetterebbe di misurare le prestazioni energetiche degli edifici e quindi di stimare meglio i consumi futuri, e si accontentano di avere dei “pezzi di carta” inutili ma richiesti dalla legge, ottenuti al minor prezzo possibile. Se da un lato il problema è certamente culturale e riconducibile a una scarsa consapevolezza dell’importanza della problematica energetica ed ambientale, dall’altro appare chiaro che un sistema credibile di certificazione non può essere instaurato se non è affiancato da un sistema credibile di controlli. Il certificato diventa davvero un “pezzo di carta” inutile, se non è possibile essere certi della sua affidabilità.
MORALE DELLA FAVOLA: DAGLI ADEMPIMENTI FORMALI AI REQUISITI PRESTAZIONALI
In questo modo vanno in pezzi proprio quella fiducia e quella credibilità che rappresentano la ragione stessa di esistere di un sistema di certificazione. E ciò accade in un campo strategicamente importante come quello dell’efficienza energetica degli edifici, nel quale l’Italia ha un bisogno disperato di fare passi avanti.
Più in generale, nella costruzione di un sistema credibile di misurazione e certificazione della qualità edilizia, un passaggio importante è quello che porta da certificazioni ed auto-dichiarazioni basate su adempimenti formali nei processi produttivi, a certificazioni basate sulle prestazioni dei prodotti finali ed eseguite da enti terzi. E un sistema di controlli efficaci e credibili sulle certificazioni è un elemento indispensabile, se si vuole instaurare un grado di fiducia sufficiente a permettere al sistema di certificazioni di svolgere il suo importante ruolo.
[1] Decreto legislativo 192 del 2005, successivamente modificato ed integrato dai decreti 311/2006, 115/2008 e dal D.M. 16/6/2009.